Perché il finanziamento soci con redditi esigui può rientrare nella categoria dei “ricavi in nero”

È l’articolo 2467 del Codice Civile a regolare il finanziamento che i soci di una società effettuano alla società stessa, e si basa sulla norma relativa alle modalità di erogazione e di rimborso del versamento a titolo di mutuo.

Rivediamolo insieme: “Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. Ai fini del precedente comma s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.”

Tuttavia, anche se il Codice civile delinea chiaramente come utilizzare lo strumento, può accadere che il contribuente pensi erroneamente di sfruttare le disposizioni normative codicistiche in modo per così dire un po’ più “libero”.

Nell’ambito del finanziamento effettuato a una società da parte dei suoi soci, giurisprudenza e prassi hanno strutturato una fattispecie basata sul caso della ristretta base partecipativa, la quale può trasformare il finanziamento in un comportamento potenzialmente evasivo. In termini pratici, questo significa che in una società a ristretta base societaria il finanziamento soci può essere trattato con una certa durezza, come evidenziato dalla Sentenza della Corte di Cassazione numero 19780/2020.

Quest’ultima prende in esame la particolare tipologia di finanziamento che abbiamo appena citato, effettuata da parte di soci con redditi esigui.

La Corte spiega che “l’esiguità dei redditi dei soci conferenti, inidonea a giustificare i finanziamenti alla società in misura conforme all’impegno dagli stessi assunto è […] circostanza idonea a fondare una presunzione di distribuzione di utili extrabilancio.”

E ancora, precisa che nell’ipotesi “di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili […] in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario […] con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria.”

Infine, specifica la Corte, “a tutto volere, l’effettività di un finanziamento infruttifero in favore della società non potrebbe comunque neppure desumersi dalla prova della capacità di spesa e dalla disponibilità di liquidità in capo al socio finanziatore, giacché le anticipazioni dei soci, laddove (come nella specie) siano ingiustificate […] possono essere considerate quali ricavi in nero.”

Il ricorso di una Srl napoletana alla quale i soci avevano destinati prestiti infruttiferi, pur non risultando titolari di grossi redditi, è stato quindi respinto sulla base di queste motivazioni.

Di fatto, i giudici hanno indicato come, non avendo la società contribuente fornito alcuna prova relativamente alla provenienza del denaro versato e non mostrando i contribuenti particolari redditi, si palesasse la possibilità di occultamento fiscale di utili conseguiti dalla società. Potenzialmente, i fondi in questione potevano essere stati distribuiti ai soci per poi essere reindirizzati nuovamente verso la società sotto forma di versamenti.

Quello della Cassazione è stato un verdetto definitivo, dal momento che secondo la Corte l’esiguità dei redditi dei soci conferenti non era soltanto inidonea a giustificare i loro finanziamenti nei confronti della società, ma addirittura finiva con l’alimentare la presunzione di una distribuzione di utili extrabilancio.

Va da sé che anche l’Agenzia delle Entrate può quindi contestare alle società possibili ricavi in nero in tutte quelle circostanze in cui i soci con redditi esigui dovessero erogare prestiti infruttiferi senza alcuna prova della provenienza dei fondi.

È pertanto sufficiente che i soci con redditi esigui siano parte di una società di capitali a ristretta base partecipativa perché si crei un possibile contenzioso, nell’ambito del quale i finanziamenti effettuati dai soci stessi potranno essere qualificati come utili non contabilizzati dalla società. E sebbene ricada sul contribuente l’onere di dimostrare il contrario, neppure la giustificazione della provenienza del denaro potrebbe rivelarsi una prova sufficiente.

In conclusione, se da un lato è naturalmente importante contrastare al meglio strutture evasive che potrebbero utilizzare in modo improprio lo strumento del finanziamento soci, dall’altro lascia perplessi che il contribuente sia praticamente impossibilitato a dimostrare la legittimità del proprio comportamento.

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